Si è appena concluso il XXXIII Congresso Nazionale Forense, tenuto a Rimini nei giorni 6, 7 e 8 ottobre.
Questo importante appuntamento, connotato – all’ordine del giorno – per il tema della nuova rappresentanza dell’Avvocatura, ha concretizzato il suo momento decisivo con l’approvazione della mozione “Avv. Vaglio” (dal nome del suo presentatore), istitutiva del nuovo organismo previsto dall’art. 39 della legge professionale n. 247/2012.
Con il loro voto, i 591 delegati favorevoli hanno decretato la conclusione della esperienza riconducibile all’Organismo Unitario dell’Avvocatura (O.U.A.), che ha operato per oltre 20 anni da quando fu istituito, a Venezia, nel 1995.
Il nuovo Organismo Congressuale Forense (O.C.F.) avrà il compito istituzionale di dare esecuzione ai deliberato congressuali, curare l’elaborazione di progetti e proposte, promuovendone la diffusione e la realizzazione. Potrà adottare, in sede giurisdizionale, tutte le iniziative che saranno reputate necessarie o opportune, e proclamerà l’astensione dalle udienze secondo le previsioni del codice di autoregolamentazione.
Ora credo sia importante dire perché i due terzi dei delegati, eletti dalle assemblee territoriali, abbiano votato la mozione “Vaglio”, sancendo la fine dell’O.U.A..
Il motivo principale, sul quale si è dibattuto a lungo, risiede nel fatto che – nel corso di questi ultimi 20 anni – si è assistito, da un lato, allo scollamento dell’Organismo dalle disomogenee realtà professionali territoriali e, dall’altro, ad una progressiva accentuazione del dualismo O.U.A./CN.F. che è via via divenuta, addirittura, contrapposizione (sterile, quando non dannosa per gli interessi della nostra categoria).
Ciò ha certamente indebolito la forza politica delle istituzioni forensi e attutito la forza contrattuale dell’Avvocatura, in un momento in cui continui e crescenti attacchi – provenienti da più parti, anche sotto forma di iniziative di legge – mirano alla sua autonomia e indipendenza (anche economica).
Con queste premesse, e con la certezza di dovere trasformare – rinnovandola – la “governance” politica dell’Avvocatura, al neonato O.C.F. è stata affidato il compito di rappresentarci armonicamente, con la consapevolezza che i caratteri fondanti dell’Organismo ci consentiranno di vedere tutelati, con maggiore efficacia, gli interessi e le aspettative della categoria.
Va detto, infatti, che uno dei connotati dell’O.C.F. è rappresentato dal fatto che sono venute meno le incompatibilità tra la carica di componente e quella di consigliere dell’Ordine (fatta eccezione per per la figura del Coordinatore). Questa novità nella composizione dell’assemblea dell’O.C.F., con la presenza – anche – della rappresentanza ordinistica, certamente rafforzerà in modo sostanziale la trattazione delle questioni politiche e forensi di carattere generale, ma anche – e, forse, soprattutto – di quelle provenienti dal territorio.
Proprio il nostro Ordine, prendendo la parola in sede congressuale, ha espressamente chiesto al C.N.F. e al nuovo Organismo di occuparsi con maggiore attenzione delle questioni ripetutamente segnalate a livello distrettuale (per Messina certamente la paventata soppressione della Corte d’Appello e il progetto di riduzione della pianta organica degli uffici di primo grado).
Con una punta di orgoglio aggiungo che l’Ordine di Messina ha dato un importantissimo contributo per il raggiungimento di questo storico obiettivo, partecipando, nel corso dell’ultimo anno, a tutte le riunioni dell’Agorà e del Coordinamento dei Presidenti, dando il proprio forte contributo al dibattito sorto intorno alla questione della istituzione dell’Organismo Congressuale (che oggi soppianta l’OUA). Basta pensare che nell’ultimo appuntamento del Coordinamento e dell’Unione dei Fori Siciliani, ospitato a Taormina, i molti componenti degli Ordini presenti hanno concluso il lavoro di sintesi delle bozze di mozione da portare in votazione. Questo lavoro è stato poi presentato all’Agorà del 26 settembre, nel corso della quale è stata strutturata la versione definitiva della mozione che ha trovato approvazione al Congresso di Rimini.
Ma al Congresso non si è parlato soltanto di “art. 39” e di Organismo Congressuale.
I delegati e i congressisti hanno avuto la fortuna di ascoltare l’appassionato intervento dell’avvocato tunisino Aziz Essid, membro del quartetto insignito del premio Nobel per la Pace nell’anno 2015, che ha testimoniato la storia recente di un paese in lotta per la democrazia, a partire dalla primavera araba di liberazione del 2010, culminata con l’allontanamento di Ben Ali. «La rivoluzione dei Gelsomini è riuscita ma stiamo affrontando ancora giorni molto duri e pieni di difficoltà e il sostegno dell’Avvocatura istituzionale italiana sta risultando fondamentale per la ripresa delle condizioni di una vita democratica nel nostro paese».
«La vostra solidarietà ci fa essere più forti». Ha esordito così, in italiano, l’avvocatessa turca Ceren Uysal, «perché oggi lavoriamo sotto un regime fascista e la situazione peggiora di giorno in giorno». Una testimonianza, la sua, da un paese vicino all’Europa ma così lontano, oggi, sul tema del rispetto dei diritti umani.
«Sono avvocato dal 2007 e in dieci anni di professione sono stata il difensore di alcuni colleghi curdi finiti in carcere nel 2011, che hanno visto i loro diritti fondamentali violati». A rischio il diritto alla difesa, sotto attacco da parte del governo Erdogan, che utilizza gli arresti di massa per colpire la categoria: «Il nostro posto nell’aula del tribunale cambia ogni giorno, a volte siamo difensori, altre sediamo sul banco degli imputati».
Interventi, quelli di cui ho detto, che rappresentano tutto il valore e la potenza dell’Avvocatura, quando presidia la libertà degli uomini e diventa emblema di democrazia.
Desidero concludere con le stesse parole che ho utilizzato a Rimini, augurando – a tutti noi – una Avvocatura più forte e più rispettata. In questa sola direzione tutto il nostro Consiglio ha lavorato, perché siamo convinti che la nostra indipendenza, e la libertà di essere forti difensori dei diritti, passano necessariamente attraverso l’unità e l’autorevolezza politica di cui sapremo vestirci.
Vincenzo Ciraolo