Data l’importanza dei quesiti referendari sui quali gli italiani sono chiamati ad esprimersi il prossimo 4 dicembre, ci siamo ripromessi di rivolgere alcune fondamentali domande a studiosi di diritto costituzionale in grado di offrire input di riflessione consapevoli ed approfonditi, confrontando le “ragioni del SI” e “le ragioni del NO”, senza pregiudiziali ideologiche, ma valutando l’opportunità di procedere legittimamente verso la realizzazione delle attese riforme, nel rispetto dello spirito unitario e democratico della Carta Costituzionale.
Su questa linea, abbiamo chiesto al professor Luigi D’Andrea, ordinario di diritto costituzionale nell’Università degli Studi di Messina, di spiegarci quale sarà la funzione del Senato delle regioni e qual è la sua opinione a riguardo.
«La riforma costituzionale configura un Senato come Camera rappresentativa delle istituzioni territoriali, composta da 74 consiglieri regionali, eletti con metodo proporzionale dai Consigli regionali, in conformità alle scelte operate dagli elettori in sede di elezione degli stessi Consigli regionali, da 21 sindaci (uno per Regione) e da 5 senatori scelti dal Presidente della Repubblica tra cittadini che hanno onorato la Patria per i loro “altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario” (art. 59). Sul piano funzionale, il Senato perde la competenza a concedere ed a revocare la fiducia al Governo, che rimane unicamente in capo alla Camera dei deputati, mantenendo competenze sul terreno legislativo (talora in quanto le leggi rimangono affidate all’approvazione delle due Camere, ex art. 70, laddove nelle altre ipotesi al Senato compete la facoltà di formulare un parere sul disegno di legge, essendo la Camera dei deputati competente per l’approvazione finale, in qualche caso a maggioranza assoluta) e sul piano dell’indirizzo, dell’informazione e del controllo: nel complesso, al Senato viene affidato il compito, che si deve declinare ed esprimere appunto nell’esercizio delle diverse funzioni specificamente ad esso devolute, di rappresentare e tutelare l’interesse nazionale in relazione ai diversi livelli territoriali di governo che strutturano un ordinamento multilivello quale il sistema europeo». Nell’«apertura di un canale istituzionale di relazione tra Stato ed autonomie locali (nonché tra Stato ed Unione europea) è da ravvisare il maggiore pregio della revisione costituzionale su cui siamo chiamati a votare il 4 dicembre».
La riforma del titolo V della Costituzione ridefinisce i rapporti tra Stato e Regioni, con conseguente incremento delle materie di competenza statale: come valuta questo aspetto?
«Il Titolo V della Parte II della Costituzione è relativo al rapporto tra lo Stato ed il sistema delle autonomie territoriali, ed è stato quasi integralmente riscritto con la l. cost. n. 1/1999 e con la l. cost. n.3/2001: in particolare, con la seconda di tali leggi si sono accresciute notevolmente le competenze legislative delle Regioni, forse per contrastare (assecondando…) la spinta federalista, se non apertamente secessionista, della Lega Nord. La riforma costituzionale sulla quale il popolo italiano è chiamato a pronunziarsi nel referendum del 4 dicembre si caratterizza per una larga riallocazione allo Stato della funzione legislativa in ordine a diverse materie, nell’assetto costituzionale vigente distribuite tra lo Stato e le Regioni: si pensi a fattispecie quali l’“ordinamento delle professioni” (art. 117, II comma, lett. t), la “produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia” (art. 117, II comma, lett. v), le “infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione di interesse nazionale e relative norme di sicurezza; porti e aeroporti civili, di interesse nazionale e sovranazionale” (art. 117, II comma, lett. z). Scompare formalmente la potestà legislativa concorrente, secondo la quale la materia veniva affidata allo Stato per la determinazione dei principi fondamentali, alle Regioni per la fissazione delle disposizioni di dettaglio; va tuttavia considerato che in alcune materie elencate nel II comma dell’art. 117, che si riferisce alle materie devolute alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, si riconosce allo Stato solo il potere di dettare “disposizioni generali e comuni” relative alla stessa materia (lasciando perciò che spetti alle Regioni l’ulteriore normazione nella stessa materia)».
Il giudizio sul ridisegno del Titolo V della Costituzione è, pertanto, complessivamente positivo, «sia in quanto razionalizza sul terreno normativo orientamenti già manifestati dalla Corte Costituzionale, sia in quanto introduce, tanto nella definizione delle materie devolute alla potestà legislativa statale quanto nella definizione delle materie affidate alla potestà legislativa regionale, un opportuno (se non necessario) riferimento alla dimensione territoriale degli interessi, alla quale è necessario guardare nella dislocazione del potere pubblico tra i diversi livelli di governo».
Ritiene che si possa configurare, nel testo di revisione costituzionale, un vulnus per il principio democratico, in ragione dell’elezione solo indiretta per il Senato o comunque un indebolimento del sistema delle garanzie?
«La riforma costituzionale non merita una simile critica, sul presupposto che gli istituti di garanzia non vengono indeboliti: «ad esempio, la novella dell’art. 83 non facilita certo l’elezione del Presidente della Repubblica da parte della maggioranza di governo, né l’elezione di due giudici costituzionali da parte del Senato e di tre giudici costituzionali da parte della Camera dei deputati pregiudica in alcun modo prestigio e funzionalità del giudice delle leggi. Inoltre, merita di essere positivamente segnalato che l’ultimo comma dell’art. 71 novellato prevede che “al fine di favorire la partecipazione dei cittadini alla determinazione delle politiche pubbliche, la legge costituzionale stabilisce condizioni ed effetti di referendum popolari propositivi e d’indirizzo, nonché di altre forme di consultazione, anche delle formazioni sociali. Con legge approvata da entrambe le Camere sono disposte le modalità di attuazione”; e che si abbassa significativamente il quorum strutturale per il referendum abrogativo (identificato nella “maggioranza dei votanti alle ultime elezioni per la Camera dei deputati”) in caso di proposta avanzata da ottocentomila elettori». «Il tasso di democraticità del sistema non va tanto misurato in relazione al numero di schede messe in mano agli elettori, ma piuttosto in rapporto all’incidenza che alle opzioni dal popolo espresse è concesso esercitare sul funzionamento delle istituzioni pubbliche: e le elezioni locali e (soprattutto) regionali nell’assetto costituzionale configurato dalla riforma giocano un ruolo anche in seno alla dinamica parlamentare, connettendo positivamente una Camera nazionale alla rete di autonomie territoriali».
Ringraziamo fortemente il Professor Luigi D’Andrea per avere condiviso con messinordine alcune delle ragioni che Lo inducono a sostenere la posizione del sì.
Nei prossimi giorni, il Professore Alessandro Morelli, Ordinario di Diritto Costituzionale (Università di Catanzaro) ci spiegherà perché sostenere la posizione del no.
Simona Raffaele