Renzo Piano entro il 2017 concluderà la realizzazione a nord-ovest della città di Parigi del nuovo Palazzo di Giustizia per un costo di circa 650 milioni di euro.
L’opera sta sorgendo nella periferia francese.
“Questi grandi edifici esprimono l’urbanistica e la civiltà…Oggi, bisogna salvare le periferie. Cancellare la nozione di periferia è la sfida dei prossimi trent’anni”. (Renzo Piano)
Il nuovo edificio istituzionale è stato pensato con un’altezza di 160 mt per un totale di 60.000 mq di superficie calpestabile, distribuito su una struttura a blocchi in acciaio e vetro, impreziositi da ampie terrazze alberate, “parchi verdi sospesi”, strade e luoghi di incontro. L’architetto vuole allontanarsi dal concept ordinario dei palazzi di giustizia un po’ troppo “palazzina uffici” o corporate come lo definirebbero gli anglosassoni; lo stesso Piano afferma “un tribunale non può essere banale, ha una storia da raccontare”.
L’intera architettura del nuovo Tribunale si pone come una profonda riflessione sul concetto di giustizia, permeato di trasparenza, equità, ma soprattutto fragilità, la fragilità di chi entra in un palazzo di giustizia, schiacciato dalla morsa interiore di chi deve essere giudicato: “Quando si entra nel palazzo di giustizia si è ancora molto fragili. Questo stato di fragilità, deve essere considerato. Dobbiamo creare uno spirito di fiducia per la persona che sarà giudicata. Si deve ispirare fiducia, creare un clima di calma serenità, ma anche una certa austerità.” (Renzo Piano)
Tutto questo viene tradotto magistralmente in oggetto architettonico dalla mano sapiente dell’architetto che utilizza per il Palazzo di Giustizia tre prismi molto leggeri, completamente vetrati e quindi trasparenti, che sottolineano appunto la capacità di percepire la legge serenamente, in completa antitesi con il concetto di edificio completamente chiuso ed ermetico del passato, che sembrava quasi voler schiacciare l’imputato sotto la sua mole imponente. (Tratto da KarmArchitettura).
L’idea che un Tribunale possa essere più umano, domestico, e che l’architettura rispecchi questa umanità, ha ispirato la costruzione nell’ultimo ventennio dei più moderni Tribunali (i due palazzi di giustizia di Richard Rogers a Bordeaux e Anversa, la Corte Suprema all’Aja di Klaus Kaan, il piccolo edificio di Toulkaren in Palestina di Aau Anastas).
Una considerazione.
A vedere il nuovo Tribunale di Parigi, certamente a venir meno non è la maestosità dell’edificio, che rispecchia ancora il concetto di sacralità della legge, con una altezza di ben 160 metri e 60.000mq, ma muta radicalmente la logica architettonica degli interni rispetto ai Tribunali di ispirazione classica.
Nei Tribunali di moderna concezione, che evidentemente sono studiati e realizzati anche alla ricerca del massimo risparmio energetico, si privilegiano assolutamente la luce naturale, ambienti caldi e di qualità nella scelta dei materiali, aule di giustizia razionali ed ampie, enormi spazi verdi, e zone del Palazzo riservate ed aperte alla cittadinanza, quali punti di incontro urbani e da utilizzare anche per mostre, convegni, ecc…
Un Tribunale moderno inteso come luogo “domestico”, che pone al centro della sua architettura il pensiero di uomo-cittadino, che, anziché annichilire, vuole serenamente accogliere, e senza per questo abbandonare il concetto di sacralità del diritto.
Anzi, a mio avviso, i moderni Tribunali esasperano positivamente il principio che il concetto di sacralità del diritto deve risiedere non “tout court” nell’ “edificio Tribunale”, nella sua imponenza, negli ingressi, atrii e corridoi faraonici; ma, un principio, quello della sacralità, che deve essere rappresentato da chi viene chiamato a partecipare a quel momento, costituito dalla applicazione concreta del diritto (dai Magistrati, agli Avvocati, ai Dipendenti Amministrativi, agli Imputati, ai Testimoni).
Si assiste pertanto ad una inversione di un concetto di sacralità del diritto che, dal di fuori dell’edificio, passa al di dentro.
Il diritto è sacro; ma un Palazzo di Giustizia tutto a vetri, con ambienti caldi, razionali, che accolgono l’“essere uomo,” danno il senso che la sacralità non deve essere rimessa e rappresentata asetticamente dall’Edificio, ma dagli Operatori che partecipano a quel solenne momento, ove altri Uomini vengono chiamati ad essere giudicati, condannati, privati della loro libertà, anche definitiva, o sottoposti a provvedimenti con gravi ripercussioni economiche e sociali.
La misura del successo dell’architettura illuminata di questi moderni Palazzi di Giustizia sarà data dal passaggio da un concetto autoritario della legge, fine a se stesso, alla consapevolezza che la sacralità è rappresentata giornalmente dalla funzione cui ogni Operatore del diritto, cittadini compresi, viene chiamato ad esercitare.
Gaetano De Salvo