Sono storie di “Avvocati senza compromessi” quelle ricordate in occasione della “Giornata Internazionale degli Avvocati in Pericolo”, celebrata il 24 gennaio scorso nell’aula magna della Corte di Appello di Messina.
L’evento, fortemente voluto dal Consiglio Nazionale Forense, si è tenuto per la prima volta contemporaneamente in diverse città italiane e ha visto la partecipazione di tanti avvocati che, sotto la guida del CNF, si sono uniti in un’unica voce per ricordare che lo “Stato di diritto” esiste solamente laddove esiste il diritto di difesa.
Quest’anno il Forum ha riguardato, in particolar modo, la situazione degli avvocati egiziani, vittime di ostruzionismo da parte del governo e bersaglio delle forze di sicurezza locali.
A spiegare la triste realtà nella quale lavorano è stato proprio uno di loro, in collegamento in diretta dalla sede del CNF, l’avv. Mohamed Azab, componente del ”Comitato Egiziano per i Diritti Economici e Sociali”.
“Ci sono circa 600 mila avvocati in Egitto e tra questi, quelli coinvolti in politica – ha evidenziato – sono soggetti a persecuzione fisica e burocratica. Nonostante la Costituzione egiziana preveda delle garanzie ben precise sulla sicurezza degli avvocati, questi ultimi operano in assenza di protezione e sono spesso vittime degli organi di polizia locali”.
Dalla sede messinese, poi, in un clima di ascolto e di riflessione egregiamente preparato da alcune giovani colleghe, sono state raccontate le storie di quattro avvocati “in pericolo”.
Tahir Elci, curdo, assassinato con un colpo di pistola alla testa il 28 novembre 2015, mentre si trovava nei pressi della moschea di Sur, nella capitale curda della Turchia. Tahir è stato membro della Fondazione dei diritti umani in Turchia e Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Diyarbakir; è stato arrestato e processato per aver affermato durante una trasmissione televisiva che il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (il PKK) era “un movimento politico armato e che alcune delle sue azioni potevano essere considerate atti di terrorismo”.
Tahir è morto per aver parlato liberamente in uno Stato che non riconosce l’indipendenza degli avvocati e che mira a ridurre al silenzio tutti coloro che parlano della causa curda, ne prendano le difese o si rifiutino di avversarla apertamente.
Gao Zhisheng, cinese, rapito e per quattordici anni torturato dagli agenti del governo cinese, attualmente, in stato di detenzione in Cina per incitamento alla sovversione. Gao si è occupato per anni dell’attività persecutoria del governo cinese contro i membri del Falun Gong; ha denunciato a tutto il mondo i crimini della persecuzione comunista; ha assunto le difese di persone arrestate, massacrate e torturate ingiustamente; ha chiesto alla comunità internazionale di non essere complice del regime; ha rifiutato numerose offerte di lavoro da parte dello Stato cinese che ha tentato, invano, di dissuaderlo dalla sua attività. Oggi la sua vita è appesa ad un filo ma l’aver svolto la sua professione con passione e senza compromessi, lottando per i diritti umani negati in Cina, è una testimonianza che lascerà il segno per sempre nella storia dell’avvocatura mondiale.
Ibrahim Metwaly Hegazy, egiziano, componente del collegio di difesa egiziano della famiglia di Giulio Regeni, fondatore dell’”Associazione delle famiglie delle persone scomparse”, nonché membro della “Commissione per i diritti e le libertà Egiziana”. È. stato fermato dalla polizia all’aeroporto del Cairo mentre si stava imbarcando su un volo per Ginevra dove avrebbe dovuto partecipare ad un meeting delle Nazioni Unite sulle sparizioni forzate in Egitto. È stato torturato e attualmente è in stato di detenzione in Egitto, accusato, tra l’altro, di cospirazione con entità straniere per sovvertire l’ordine dello Stato.
Tra le vittime di sparizione forzata in Egitto c’è anche il figlio, Amar, scomparso l’8 luglio 2013. L’arresto di Ibrahim è considerato un tentativo da parte delle autorità egiziane di mettere a tacere coloro che si impegnano a favore delle persone scomparse forzatamente in Egitto e per scongiurare ogni tipo di contatto con la comunità internazionale.
Ed è proprio sul sacrificio di Ibrahim, da anni impegnato nella difesa dei diritti umani, che si è soffermata l’avv. Alessandra Ballerini, legale italiano della famiglia di Giulio Regeni, intervenuta in diretta tramite una chiamata Skype.
Profondamente commossa, la Ballerini, ricordando il secondo anniversario della scomparsa del giovane ricercatore italiano in Egitto, ha testimoniato le grandi difficoltà che incontrano gli avvocati che operano con le autorità egiziane, raccontando il clima di terrore vissuto in prima persona durante le indagini per ricostruire la verità sul brutale omicidio Regeni.
“Nel dicembre scorso mentre stato rientrando in Italia – ha raccontato – sono stata fermata da alcuni poliziotti che mi hanno preso il passaporto e se lo passavano di mano in mano, proferendo parole in arabo, per me incomprensibili. Ero accompagnata da un funzionario dell’ambasciata italiana e, forte per la sua presenza, ripetevo tra me e me che nulla poteva accadermi. Dentro di me avevo paura di fare la fine di Ibrahim, fermato, proprio come me, in aeroporto, scomparso, torturato e, successivamente, arrestato. Il funzionario mi disse che, in realtà, nulla avrebbe potuto fare contro l’operato degli agenti di polizia se così fosse stato. Da quel momento, tutte le volte in cui devo prendere un aereo per rientrare in Italia, ho paura, paura non solo fisica ma paura per non essere salvaguardata nonostante sia cittadina di uno stato di diritto. Sono stata protagonista degli eventi del G8 di Genova: anche in quella circostanza ho avuto paura anzi, devo ammettere che quella paura ha cambiato tutta la mia vita perché ho avuto la sensazione che i diritti umani fossero ”sospesi”.
E proprio a causa dell’ostruzionismo da parte delle autorità egiziane che, ancora oggi, non si conosce la verità processuale sull’assassinio di Giulio: ciò che è certo, ha spiegato la Ballerini, è che, nonostante i tentativi di depistaggio e di ricoprire di infamie ed illazioni la memoria dello studente italiano, Giulio Regeni è stato ucciso per aver condotto una ricerca sui sindacati non governativi in Egitto ed è stato ‘venduto’. Non abbiamo la verità processuale perché il regime non vuole collaborare perché da quella verità, lo stesso regime potrebbe cadere”.
Dopo la testimonianza dell’avv. Ballerini, il presidente dell’ associazione messinese “Avvocato Nino D’Uva”, avv. Ferdinando Croce, ha introdotto l’ultima storia di quella, appunto, dell’avv. Nino D’Uva, assassinato il sei maggio 1986. A ricordare il legale scomparso, la figlia, magistrato messinese, che in un clima di profondo rispetto e commozione, ha ripercorso la triste vicenda che ha visto protagonista l’avv. D’Uva, difensore di alcuni imputati di un maxiprocesso degli anni 80.
“Il clima che si respirava durante il maxiprocesso era terribile. Dalle gabbie arrivavano insulti alla Corte e gli avvocati erano impauriti. I Giudici volevano l’intervento dei legali per far capire ai detenuti che tutte le garanzie sarebbero state loro prestate ma gli imputati volevano che i difensori si schierassero contro i Giudici. Mio padre fu scelto dalla Corte per mediare e questa cosa non fu gradita. Si scoprì, negli anni, che vi fu un accordo tra le gabbie perché si voleva dare un segnale ai Giudici“. E questo segnale fu l’assassinio dell’avv. D’Uva. “Mio padre non era un eroe ma lo è diventato, faceva il legale nel migliore dei modi, non è mai sceso a patti, non fraternizzava con i clienti né avrebbe mai prestato il consenso agli insulti, perché è vero che bisogna difendere i propri assistiti fino all’estremo ma mai al di là delle norme di diritto e mio padre è morto per questo”.
Alessandra De Luca