Il Blog dell'Ordine degli Avvocati di Messina

Stamattina cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario: il discorso del presidente e il documento pervenuto da alcuni consiglieri dell’Ordine

0

Il discorso del presidente.

Signor Presidente della Corte d’Appello, signor Procuratore Generale, Autorità religiose, civili e militari, signori Avvocati, signori Magistrati, signore e signori, porgo il saluto dell’Avvocatura del Distretto di Messina che ho l’onore di rappresentare, del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Messina e mio personale.
Ancor prima di illustrare la relazione, trovo sinceramente doveroso ricordare, e stringere nell’abbraccio della nostra memoria, gli Avvocati del nostro Distretto, scomparsi nell’anno 2017: Ardizzone Santina, Basile Rosa, Bruschetta Francesco, Cuzari Giancarlo, Gambadoro Stefania, Gittini Cinzia, Laganà Giuseppe, Mautone Giovanni Battista, Oliva Pompeo e Stracuzzi Ottavio.
Colleghi che hanno indossato con onore la Toga, dando lustro all’Avvocatura del Distretto di Messina e che hanno realizzato, ogni giorno, quel ruolo sociale che ci appartiene e ci viene diffusamente riconosciuto.
Anche quest’anno, in Consiglio, abbiamo discusso sulla opportunità di partecipare alla cerimonia. E’ prevalsa la convinzione che fosse necessario e opportuno intervenire, e con la nostra presenza rassegnare a tutti i rappresentanti della nostra comunità, ma soprattutto a chi oggi qui rappresenta i vertici della giurisdizione, le nostre considerazioni su quanto accaduto in questo ultimo anno, nelle dimensioni nazionale e locale.
Ma ancor prima ritengo doveroso dare il giusto risalto alle attività consiliari che, da qualche anno a questa parte, si sono considerevolmente incrementate, con ciò chiedendo maggiore impegno e dedizione a chi – animato dal solo spirito di servizio e dalla passione – ha deciso di impegnarsi nell’attività ordinistica.
A titolo meramente esemplificativo, scusandomi per l’autoreferenzialità, mi piace ricordare che l’Ordine, tra l’altro, gestisce il sistema della difesa d’ufficio – anche in ambito minorile – e ne sopporta gli oneri, si occupa delle ammissioni al patrocinio a spese dello Stato, partecipa attivamente alla Scuola per le professioni legali, segue il percorso dei nostri praticanti, anche attraverso la Scuola Forense, si occupa della organizzazione e della concreta realizzazione dell’impegnativo programma di formazione obbligatoria, destinato a tutti i nostri iscritti, che ha riscosso consensi diffusi anche in ambito nazionale.
Con riferimento a queste ultime due attività, desidero rivolgere un sentito ringraziamento alle associazioni forensi che, con grande spirito di collaborazione, hanno dato un prezioso contributo.
Tornando ai temi che ci occupano, anche nella veste di Vice Coordinatore dell’Organismo Nazionale Forense – organo di rappresentanza politica nato all’ultimo Congresso di Rimini -, possiamo salutare con favore l’approvazione della norma sul “legittimo impedimento”, che riconosce alla donna avvocato in gravidanza o in maternità il diritto di chiedere e ottenere il rinvio dell’udienza.
Lo stesso va detto per l’approvazione della norma che prevede l’estensione ad IVA e CPA del privilegio ex art. 2751 bis c.c..
Per contro, dobbiamo pure dirci che il duemiladiciassette è stato un anno difficile e complicato per l’Avvocatura.
Molti sono stati i tentativi di contrarre l’autonomia e l’indipendenza della nostra professione, di ridurre il libero esercizio delle tutele costituzionalmente garantite e di intervenire in maniera incisiva – con azioni surrettizie – in materia di geografia giudiziaria.
E infatti:
Equo compenso: proprio mentre stava per completarsi l’iter di approvazione di un disegno di legge costruito nell’intesa tra politica e avvocatura, è stato presentato, con allarmante tempestività, seguita da un iter accelerato, un disegno di legge “ministeriale” che, se approvato, avrebbe rappresentato nulla più che una inutile e scontata enunciazione di principio (peraltro costituzionalmente garantito dall’art. 36 della Costituzione) per la quale “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro”.
Il disegno di legge ministeriale, infatti, se da un lato non prevedeva l’estensione delle norme nei confronti della Pubblica Amministrazione, riducendone ampiamente gli ambiti applicativi, dall’altro – rispondendo alle chiare esigenze manifestate dai più forti poteri economici (banche e assicurazioni) – prevedeva la possibilità di convenire clausole derogatorie e un termine decadenziale biennale per l’impugnazione delle convenzioni non rispondenti ai criteri voluti dalla norma.
Solo grazie all’unanime e tempestivo intervento dell’Avvocatura istituzionale e associata, e con la collaborazione di alcuni parlamentari, si è potuto intervenire con la presentazione e l’approvazione di emendamenti correttivi, per affermare e rafforzare il principio di autonomia e libertà dell’Avvocatura, che passa anche attraverso la rivendicazione della indipendenza economica dell’Avvocato, che non può essere costretto – ancora – a subire le prevaricazioni contrattuali imposte dai potentati economici di turno, che riversano gli effetti più dannosi proprio sui Colleghi più giovani e meno attrezzati.
Peraltro non si comprende quale ragione di diritto ostacoli il passaggio al livello successivo, e cioè il riconoscimento dell’inderogabilità dei minimi tariffari, tenuto conto che è ormai svanita la suggestiva, ma (per alcuni) convincente, bugia secondo la quale l’Europa sarebbe stata contraria alle tariffe professionali. Al nostro legislatore non dovrebbe essere ignoto che l’inderogabilità dei compensi professionali potrebbe essere ripristinata nel pieno rispetto dei principi comunitari, anche alla luce di quanto affermato nella recente sentenza 8 dicembre 2016 della Corte di Giustizia Europea, che smentisce per l’ennesima volta la maliziosa tesi propugnata da chi ha deciso la liberalizzazione dei compensi e l’abrogazione delle tariffe minime, per compiacere lobby influenti che condizionano l’attività di vasti settori dello Stato.
Riforma del processo civile e penale: mentre da anni giace in Parlamento un organico progetto di riforma, un parlamentare (si dice sia un medico) ha pensato bene di presentare alcuni emendamenti, che avrebbero introdotto il rito sommario per la maggioranza dei procedimenti civili.
L’emendamento, che prevedeva di estendere l’applicazione del rito sommario a tutte le cause rientranti nella competenza del giudice monocratico, avrebbe forse accorciato i tempi del processo (se non altro nell’auspicio dell’inesperto legislatore), mortificando il ruolo dell’avvocato e le aspettative di tutela del diritto.
Per fortuna, gli emendamenti sono stati dichiarati inammissibili.
In ambito penale, la qualità del processo non può prescindere dall’esistenza di un contraddittorio pieno tra accusa e difesa.
Purtroppo, vi sono tendenze evidenziate da recenti riforme che non possono essere condivise. Da un lato, ragioni di natura economica hanno portato a fare divenire regola, per taluni reati, la partecipazione a distanza dell’imputato al processo, facendo così prevalere le ragioni economiche rispetto alla difesa effettiva.
Dall’altro lato, vi è uno spostamento dell’azione repressiva dal terreno garantito del processo penale a quello delle misure di prevenzione, come nel caso della recente riforma del Codice Antimafia, che ha ampliato la categoria dei reati denotanti pericolosità qualificata, inserendo il riferimento a delitti comuni.
Con ciò, affidando alla prevenzione un ruolo di sanzione personale e patrimoniale, surrogatoria rispetto all’accertamento penale, sempre meno strumento di applicazione limitata e sempre più esteso alla generalità dei casi.
Sull’argomento vanno evidenziate le recenti prese di posizione della Corte di Strasburgo (sentenza De Tommaso c. Italia), che confermano quanto costituzionalmente dubbio sia un sistema giustizia che affidi al procedimento di prevenzione compiti surrogatori rispetto al processo penale e restrittivi del diritto di difesa dell’imputato.
Da ultimo, va segnalato che la modifica della prescrizione determinerà una dilatazione della durata del processo, che contrasta con il diritto del cittadino ad essere giudicato in tempo breve.
Riforma del diritto fallimentare e geografia giudiziaria: Con questa riforma il Governo intende sottrarre, ai Tribunali circondariali, le competenze e le attribuzioni in materia concorsuale, per accentrarle ai Tribunali Distrettuali.
A prescindere dall’effetto immediato, che si traduce nella mortificazione di tutte le professionalità che sino ad oggi si sono formate nell’ambito della gestione delle crisi d’impresa ed hanno operato sul territorio, la conseguenza indiretta – sospinta dall’aumento delle competenze dei Giudici di Pace – sarà quella di ritrovarci, tra qualche anno, Tribunali circondariali nella sostanza completamente svuotati, dei quali sarà complesso, in futuro, giustificarne la permanenza. Le ricadute le temiamo anche per i distretti di Corte d’Appello, che traggono legittimazione anche dalla consistenza e dalla qualità degli affari trattati dai Tribunali che costituiscono il distretto.
Da quanto detto, discende una ulteriore e amara considerazione: negli ultimi anni i nostri rappresentanti al Parlamento non hanno mai voluto (o, forse, nemmeno saputo) affrontare in maniera organica la “questione giustizia”, con interventi estemporanei o, peggio, improvvisati, destinati ad assecondare esigenze territoriali, di categoria o di parte.
Per sintetizzare, potremmo usare le parole del dott. Bruno Ferraro, Presidente Aggiunto Onorario della Corte di Cassazione: “riforma della giustizia: tante belle parole e pochissimi fatti”.
La durata di un anno per i processi di primo grado è rimasta un miraggio; il Tribunale della famiglia, atteso da decenni e introdotto da tempo con il consenso di tutte le forze politiche, è ben lungi dall’iniziare il suo cammino; la riforma della responsabilità civile, in realtà, non ha scalfito minimamente la posizione di privilegi  di cui giudici e pubblici ministeri godono da sempre, sulla base di principi costituzionali che furono pensati solo per i primi e che dopo 70 anni vanno assolutamente rivisti. La magistratura amministrativa sentenzia sempre più spesso in maniera contraddittoria; il nuovo codice degli appalti, e le contrastanti direttive dell’ANAC, pur opportuni in astratto, rischia concretamente di trasformarsi in un disincentivo alla crescita economica ed industriale.
Sono questi alcuni dei motivi per i quali, da un recente rapporto della Commissione Europea, è emerso che solo la giustizia di Cipro espone risultati di funzionamento peggiori di quella italiana.
Forse è giunto il momento di riflettere sul fatto che la Giustizia, volano essenziale per l’economia del Paese, necessita di un programma organico e serio per la realizzazione del quale non si dovrebbe prescindere dal contributo dell’Avvocatura, convinti che la Giustizia non ha colore, non appartiene ai magistrati, agli avvocati e men che meno ai partiti.
La Giustizia è una prerogativa indefettibile della democrazia, e deve essere amministrata nell’interesse esclusivo dei cittadini.
Al rappresentante del Consiglio Superiore della Magistratura devo osservare che la “autoriforma” preannunciata dal suo Vice Presidente, in occasione del Congresso Nazionale di Torino, celebrato nel mese di novembre del 2015, sebbene avviatasi a rilento, ha gradatamente raggiunto quasi tutti gli obiettivi proposti tranne uno: la partecipazione degli avvocati alle valutazioni dei magistrati in seno ai Consigli Giudiziari, con il riconoscimento del diritto di voto sui giudizi di professionalità.
A tal proposito, a costo di essere ripetitivo, l’Avvocatura messinese – in questa sede – intende ribadire quanto deliberato in data 25 ottobre 2016: Auspichiamo che la politica e, in particolare, il Ministro della Giustizia e il C.S.M. mantengano ferme le loro intenzioni, già in varie sedi manifestate, in ordine ad una maggiore partecipazione dei rappresentanti dell’Avvocatura all’interno dei Consigli Giudiziari, assicurando, tramite la stessa, criteri che garantiscano efficienza, qualità e trasparenza al loro operato, confidando che tale posizione sia condivisa anche dai capi degli Uffici giudiziari che, quotidianamente, verificano il ruolo positivo e attivo dell’Avvocatura nell’amministrazione della Giustizia”.
Questa perdurante lacuna, probabilmente, consente che ancora oggi, avanzamenti di carriera, trasferimenti, incarichi semi-direttivi e direttivi, più che dai meriti e dai risultati professionali conseguiti dai Giudici, siano condizionati dal sistema correntizio che condiziona la magistratura e che – per fare un esempio recente – ha indotto il presidente della Corte d’Appello di Caltanissetta alle dimissioni, a seguito della decisione del C.S.M. di assegnare le funzioni di presidente di sezione a Palermo ad un magistrato che avrebbe avuto un curriculum meno idoneo di altri.
Non a caso da un recente sondaggio pubblicato dalla SWG, emerge che la fiducia degli italiani nei confronti dei magistrati sarebbe calata al di sotto del 50%, essendosi ingenerata la convinzione che certi settori della magistratura perseguano obiettivi politici e che, comunque, sarebbe meglio se, alla fine del mandato politico, non tornassero più ad indossare la toga.
Sul tema, con malcelato orgoglio, mi preme riferire che il nostro Ordine, chiamato a fornire i pareri motivati nei confronti dei Colleghi che avevano fatto domanda per la nomina a giudici onorari aggregati presso le Corti d’Appello, nella collegialità e scevro da qualsiasi condizionamento derivante da conoscenza personale o altro, non ha esitato a esprimere parere negativo, consapevole che l’esercizio delle funzioni giurisdizionali può e deve essere attribuito solo a chi ne abbia effettiva capacità ed esperienza.
Venendo ai temi locali, anche per non interrompere una tradizione trentennale, non possiamo non trattare la questione relativa al secondo Palazzo di Giustizia.
Pur con mille perplessità e con la ragionevole certezza che, come accaduto nei due anni precedenti, ci verrà comunicata una (inutile) novità dell’ultimo momento, non possiamo non segnalare la fragilità del protocollo d’intesa sottoscritto il 9 febbraio dell’anno scorso.
Protocollo di durata quadriennale, tempo nel quale:
– si dovrebbe progettare, realizzare e collaudare un plesso nell’area “Ex Molini Gazzi”, ove ricollocare le funzioni attualmente svolte presso la Caserma Scagliosi;
– progettare, realizzare e collaudare il secondo palazzo di giustizia nell’area militare “Ex Caserma Scagliosi”.
Tutto questo, previa verifica delle esigenze logistiche del Ministero della Difesa e del Ministero della Giustizia.
A prescindere dai dubbi sulla concreta fattibilità dell’ipotesi prospettata, nei tempi previsti (alcuni dei quali sono già oggi stati ampiamente disattesi), e con l’auspicio di essere smentiti nei fatti, l’Avvocatura messinese denuncia di essere stata esclusa, al pari dei vertici degli uffici giudiziari messinesi, da qualunque forma di partecipazione alla realizzazione dell’ambizioso progetto.
Noi sappiamo che, insieme alla magistratura, rappresentiamo quelli che meglio di chiunque altro possono dare il contributo necessario per risolvere le questioni che attengono all’edilizia giudiziaria. Problemi e difficoltà che, da decenni, affliggono avvocati, magistrati, personale di cancelleria e utenza e che, soprattutto, in mancanza di soluzioni definitive e strutturali, costano a noi cittadini più di un milione di euro l’anno, spesi per la locazione di strutture inadeguate allo scopo.
Passando ai temi della giurisdizione locale, nel ribadire il clima di costante collaborazione che vede impegnata Avvocatura e Magistratura per la soluzione delle quotidiane difficoltà, questa è l’occasione naturale per ripetere alcune doglianze che sono già state manifestate nelle sedi deputate.
In particolare non possiamo non lamentare l’eccessivo utilizzo dei Giudici Onorari di Tribunale che, nati per supplire in via temporanea ed urgente in caso di assenza dei giudici togati, di fatto – oltre ad aver acquisito la titolarità dei ruoli d’udienza civile – vengono impiegati per sostituire il togato nell’espletamento della fase istruttoria.
Osserviamo che, costituendo la fase della istruzione (e, in particolar modo, quella dell’acquisizione delle prove orali) il cardine della formazione del convincimento del Giudice, la prassi invalsa dovrebbe essere letteralmente invertita.
Al Giudice Onorario andrebbe affidato il compito, non impegnativo, di verificare la regolarità della costituzione del contraddittorio e disporre la concessione dei termini per il deposito delle memorie, mentre al Giudice togato dovrebbe chiedersi di adottare i provvedimenti istruttori e di provvedere alla assunzione.
Ed ancora, nei casi di assenza del magistrato togato, comunicata nella immediatezza dell’udienza, anziché provvedere alla sostituzione con un G.O.T., che nei fatti si limita a distribuire sul ruolo le cause (con un inutile aggravio di tempi per gli Avvocati impegnati nelle difese), disporre il rinvio d’ufficio dell’udienza e la comunicazione via PEC ai difensori, con ciò evitando l’inutile affollamento delle aule o, peggio ancora, dei corridoi del Palazzo di Giustizia.
In materia di patrocinio a spese dello Stato, replicando quanto già detto nelle occasioni precedenti, ci vediamo costretti a ribadire “come siano diventati insostenibili i ritardi accumulati nelle liquidazioni in materia di difesa d’ufficio e di patrocinio a spese dello Stato, così come continuano ad essere mortificanti, per l’intera categoria, le liquidazioni dei compensi riconosciuti agli Avvocati in esito all’attività svolta, e l’indolenza degli Uffici amministrativi preposti al pagamento”.
Non senza dispiacere, l’intera Avvocatura deve dolersi di come non sia riconosciuta dignità economica al lavoro svolto da professionisti che, con sacrificio e impegno, tutelano i diritti dei più deboli.
Sebbene più volte sollecitato, ad oggi, non abbiamo ricevuto riscontro alle proposte di protocollo d’intesa tra l’Ordine e i capi degli uffici giudiziari, che consentirebbero di armonizzare i criteri di liquidazione e di remunerare dignitosamente i Colleghi impegnati nelle difese.
Troppo spesso, infine, non vengono rispettate le poche e chiare regole, concordate con appositi protocolli d’intesa, relativamente alla durata delle udienze ed al numero di fascicoli da trattare per ogni singola giornata.
La conseguenza di questa unilaterale disapplicazione degli accordi intercorsi tra Avvocatura e Magistratura, ci mortifica nel quotidiano ma, soprattutto, fa si che il cittadino si rappresenti una immagine negativa e inefficiente del servizio giustizia.
Concludo segnalando che l’attacco sferrato alla giurisdizione del nostro Distretto – seppur apparentemente sopito a causa degli impegni elettorali a venire – è ancora in atto.
Non a casa va segnalato che l’intero Distretto è accomunato da una cronica inadeguatezza delle piante organiche e da una inadeguata edilizia giudiziaria.
Il Tribunale di Barcellona P.G. può vantare il primato di avere una delle medie di età più basse riferite ai magistrati per il semplice fatto che a tale sede vengono assegnati solo quelli di prima nomina che, alla scadenza del triennio non confermano la permanenza. Peraltro nel prossimo mese due di questi saranno trasferiti con le immaginabili conseguenze del caso.
Al Tribunale di Patti, da oltre due anni il Ministero non ha nominato il Dirigente di Cancelleria, con ciò facendo permanere una insostenibile situazione di disagio amministrativo.
Auspico che la politica che verrà abbia, diversamente da chi la ha preceduta, le competenze adeguate per svolgere quel ruolo di protezione e propulsione che compete ai rappresentanti del territorio, affinchè Messina e la sua provincia tornino ad essere, con il contributo di un servizio giustizia efficace e tempestivo, un territorio in cui sia riavviato il circuito produttivo.
E’ questa la nostra sola speranza, la speranza che i nostri figli, le nuove generazioni, possano restare qui, finalmente fiduciose nel futuro.
È l’ora di mettersi in cammino, è l’ora di osare.
Noi ci siamo e siamo pronti a dare il nostro contributo.
Buon lavoro a tutti.

 

Il documento pervenuto dai consiglieri dell’Ordine firmatari.

 

Condividi

Lascia un commento