Il Blog dell'Ordine degli Avvocati di Messina

Cento giorni da presidente dell’Associazione italiana giovani avvocati per il messinese Alberto Vermiglio. Grande responsabilità e una missione: restituire dignità ai giovani avvocati.

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Rappresentare i giovani avvocati italiani è una grande responsabilità.
È un ruolo impegnativo ed entusiasmante allo stesso tempo. L’Aiga è diventato uno strumento molto più importante di quanto potessi immaginare. Per merito di come è stata gestita l’associazione e, soprattutto, perché rappresentativa dei giovani che sono la gran parte della categoria.

Lo status di chi esercita la professione è cambiato molto nell’arco di un paio di generazioni. La crisi che ha colpito gli avvocati riguarda trasversalmente tutto il Paese, da Nord a Sud. Con quali differenze?
Prima fare l’avvocato era uno status simbol, oggi non è più così. Tra Nord e Sud continua ad esserci un divario fortissimo determinato dal diverso substrato sociale in cui gli avvocati operano ma tutti hanno sentito la crisi, anche i colleghi del Nord che prima di oggi non avevano mai avuto difficoltà ad accaparrarsi clienti importanti. A Nord come al Sud non esiste più il giovane che va via da uno studio per crearsi lo studio da solo. Se va via lo fa per riunirsi con altri colleghi e creare uno studio associato o con altri colleghi o con giovani professionisti di altri settori.

È cambiato lo “status” dicevamo e sono cambiate anche le battaglie dell’Avvocatura. Di certo in passato non ci si sarebbe immaginati di dovere combattere per “l’equo compenso” un tema sentito da tutta la categoria e, particolarmente dai giovani avvocati per i quali è una priorità.
Il primo vero tema che dobbiamo affrontare se vogliamo dare dignità ai giovani colleghi e alla categoria tutta, è quello della battaglia sull’equo compenso. Dobbiamo avere il coraggio di dire alla politica che ci ha messi in ginocchio. Il sistema ha consentito l’abbassamento delle tariffe e questo ha mortificato la prestazione professionale. Non c’è stata la capacità di misurarsi sulla realtà. Non possiamo più essere ipocriti su questo punto e vorrei fosse chiaro che non garantire l’equo compenso ai giovani avvocati vuol dire condannarli alla crisi sociale, una crisi sociale che è già in atto.

In realtà la normativa è stata finalmente introdotta…
È vero ma, per come è disegnata, non risolve il problema. Per essere efficace la sua applicazione va estesa a tutte le tipologie di committente.

Un compenso equo o, come molti preferiscono dire, un compenso “giusto” contribuirebbe a restituire dignità a una categoria che negli ultimi anni è stata mortificata. Il principio del giusto compenso vale anche per i collaboratori di studio?
Senza dubbio. Ma ci sono diversi profili da analizzare.
Il praticante, che a studio impara la professione, dovrebbe avere diritto ai rimborsi spese, sicuramente fino a quando non impari a gestire in autonomia le pratiche.
Il collaboratore di studio, che oltre a seguire le pratiche del dominus riesce ad avere un pacchetto di suoi clienti ma resta allo studio del dominus perché così taglia le spese di affitto e telefono, resta un libero professionista.
C’è infine il collaboratore di studio strutturato, che lavora quasi esclusivamente per il dominus, che non si può pensare di lasciare appeso senza garanzie e senza remunerazione. A mio avviso se lavori solo per me sei un collega dipendente che deve avere le tutele del lavoro dipendente.

Questo non creerebbe problemi di incompatibilità con l’esercizio della professione che dovrebbe svolgersi senza vincoli di subordinazione?
Il legislatore dovrebbe creare una categoria ad hoc per questa figura professionale tenendo conto delle peculiarità del lavoro svolto. Basta pensare alla situazione di colleghi, soprattutto al nord, dedicati a studi legali h24. Poi “cambia il vento” e vengono messi alla porta senza alcuna garanzia. Il sistema così non funziona e va cambiato. In Francia, nei Paesi Bassi, ed in altri stati democratici, esiste già la figura del professionista “dipendente”.

Parliamo del rito sommario. Scongiurata l’approvazione del cosiddetto “Taglia tempi” il pericolo resta in agguato. Ci sarebbe la possibilità di tagliare i tempi senza pregiudicare le garanzie del processo e il diritto alla difesa?
Siamo assolutamente d’accordo sulla necessità di tagliare i tempi del processo ma la strada tracciata era inaccettabile. Ci sarebbero alternative valide a quelle proposte. Prima tra tutte eliminare le udienze inutili: prima udienza di comparizione e udienza di precisazione delle conclusioni. Servono solo ad alcuni giudici a fini delatori ma non hanno una utilità realmente apprezzabile. Si tratta di interventi semplici che, a nostro avviso, la politica dovrebbe avere il coraggio di introdurre per ottenere un rapido risultato.

E, infine, parliamo di specializzazioni. Possono dare nuovo respiro alla categoria?
Così come sono solo un ulteriore costo per i colleghi, già massacrati da un sistema fiscale che non li aiuta. Se si vuole dare una prospettiva ai giovani si devono “blindare” le specializzazioni attraverso due possibili vie: dare agli specializzati la possibilità di patrocinare da subito davanti alle giurisdizioni superiori; richiedere per l’affidamento degli incarichi pubblici la specializzazione. Così formulate sarebbero non un costo ma una opportunità.

Quale obiettivo ti proponi come presidente AIGA
Quello del recupero della dignità della professione e del ruolo sociale anche dei giovani avvocati. Una missione ambiziosa che necessita di una crescita di consapevolezza, prima di tutto interna, da parte della categoria. Occorre una riforma culturale. È anche su questo che ci stiamo impegnando a lavorare.

 

loredana bruno
Loredana Bruno

 

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