“L’uomo costruisce palazzi, scale, ponti, intere città. Perché non dovrebbe poter costruire rampe e scivoli? Progettare luoghi vivibili da disabili, anziani, mamme con il passeggino: luoghi che sarebbero semplicemente più comodi per tutti”. In questa pensiero espresso dalla campionessa di “para powerlifting”, Valeria Macrì, è racchiuso il messaggio più forte, nella sua disarmante semplicità e chiarezza, lanciato sul tema della disabilità e della integrazione nel corso dell’evento su “Diritto allo sport: lo sport per tutti”, organizzato dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Messina e dal CONI.
Una iniziativa che rientra nel piano dell’offerta formativa dell’Ordine per il 2018 e, in particolare, nella campagna contro ogni forma di discriminazione “Siamo tutti parte”, ed è organizzata nell’ambito del progetto europeo “Change Your Mindset-Sport4Everyone“.
“L’obiettivo – come evidenziato dal presidente dell’Ordine degli avvocati, Vincenzo Ciraolo e dal delegato del CONI, Alessandro Arcigli – è quello di fare rete. Lavorare insieme per far comprendere che lo sport non è un fine ma un mezzo di sviluppo e crescita della persona e deve essere un diritto garantito a tutti, soprattutto alle persone disabili. Mentre oggi continua a esserci un forte gap tra Nord e Sud del Paese e, in alcune città, il suo esercizio è precluso”.
A testimoniarlo attraverso le proprie storie individuali c’erano in Corte d’Appello, i campioni: Silvia Bosurgi, Daniel Paone, Valeria Macrì e Giada Rossi.
Le storie che ci hanno raccontato parlano di una Italia in cui la parità dei diritti e delle opportunità è lontano dall’essere raggiunta.
Silvia Bosurgi (pallanuotista, medaglia d’oro ad Atene), da Messina è stata costretta ad “emigrare” a 15 anni per trasferirsi a Catania per avere l’opportunità di continuare ad allenarsi e diventare la straordinaria campionessa olimpica che è.
Valeria Macrì, in sedia a rotelle dopo un incidente in macchina, a Milazzo non ha potuto praticare nuoto (lo sport per il quale le avevano detto che era particolarmente portata), semplicemente perché nel comprensorio non esiste una piscina attrezzata per persone in carrozzina.
Casi isolati? Messina pecora nera?
No no. Niente paura. Di pecore nere nel Meridione d’Italia purtroppo ce ne sono greggi interi.
Daniel Paone (già campione italiano tennis tavolo in carrozzina), ci ha raccontato che esistono paesini in Calabria, dove la “fantasia creativa” di “brillanti e lungimiranti” ingeneri e architetti è arrivata a progettare palestre senza finestre!
Eppure basterebbe davvero poco. Basterebbe pensare, progettare, vedere con gli occhi dell’altro.
Ne sono capaci in Friuli dove è cresciuta la campionessa paralimpica di tennis tavolo a Rio, Giada Rossi.
Giada aveva 14 anni ed era una promessa della pallavolo della sua città. L’avevano convocata per le regionali e aveva deciso di fare un tuffo in piscina per festeggiare. Quel tuffo le causò una lesione al midollo costringendola in carrozzina.
Il suo destino ha viaggiato per un po’ parallelo a quello di Daniel, in sedia a rotelle a seguito di un incidente stradale.
Cinque anni fa entrambi erano campioni italiani di tennis tavolo. Solo che Daniel, come ci ha raccontato, da tre anni ha lasciato Firenze ed è tornato in Calabria dove, non potendosi allenare per la mancanza di strutture adeguate ha dovuto rinunciare alla sua carriera sportiva. Giada, invece – vivendo in una città dove per 50 mila abitanti ci sono 42 palestre accessibili (indovinate quante a Messina?) – ha continuato ad inanellare successi fino a realizzare il sogno di conquistare una medaglia alle Olimpiadi.
Giada, Daniel, Valeria. Basta guardarli negli occhi per capire che sono campioni. Gli incidenti che hanno cambiato la loro condizione di vita ne hanno rafforzato determinazione, autostima, coraggio, caparbietà. Sono l’esempio più chiaro di come sia appropriato definire la loro condizione “diversa abilità”.
In loro, infatti, non esiste alcuna traccia di “disabilità”, evidente, invece, in chi progetta palestre senza finestre; palazzetti dello sport che non ottengono poi l’agibilità; scuole senza rampe d’accesso. La ottusa inabilità di chi non ha la capacita o la volontà di accedere ai fondi europei per l’adeguamento degli impianti sportivi, delle scuole, degli uffici. In chi pensa di essere in grado di amministrare e produce disastri.
“Lo sport è lo strumento più potente per l’integrazione”. Lo hanno detto a chiare lettere Francesco Giunta, presidente della cooperativa sociale Utopia e Paola Toscano, funzionario della professionalità pedagogica e sportiva al dipartimento di giustizia minorile. “Dentro ogni progetto educativo- hanno scanditi a chiare lettere – ha un ruolo fondamentale insieme alla scuola”.
“È talmente potente come strumento di integrazione che – ha evidenziato nella sua relazione il delegato alla formazione, Giovanni Villari, che con l’Ordine ha creato il primo Corso di Alta Formazione in diritto dell’immigrazione – si è introdotta una normativa che consente di riconoscere lo ius soli sportivo ai ragazzini arrivati in Italia che vengano inseriti in federazioni”.
Eppure, nonostante sia chiaro a tutti, sbandierato, denunciato, stiamo fermi come pesci dentro una boccia. Abbiamo braccia, gambe, mani “abili”. Cervelli con alto quoziente intellettivo ma, troppo spesso, una intelligenza emotiva gravemente disabile.
Venerdì erano stati invitati a prendere parte all’evento tutti i parlamentari messinesi. Nessuno di loro era presente.
Loredana Bruno