Sulla base della sentenza della Corte Costituzionale dell’8 novembre 2016, pubblicata il 21 dicembre 2016, n. 286, in caso di accordo tra i genitori al momento della nascita, i figli potranno portare il cognome materno accanto a quello del padre dal giorno in cui vengono al mondo.
La Consulta ha accolto la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di appello di Genova sul cognome del figlio e ha dichiarato l’illegittimità della norma che prevede l’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio legittimo, in presenza di una diversa volontà dei genitori. Da adesso in poi, dunque, se d’accordo, i genitori potranno dare il doppio cognome. In caso di mancato accordo tra padre e madre, invece, sembra che il bambino terrà il cognome paterno.
Si tratta di una decisione che opera una vera rivoluzione, poiché è sempre stata consuetudine dare ai figli il nome del padre: la questione, infatti, non è disciplinata dalla legge.
Come se il diritto al “nome della madre”, nonostante migliaia di ricorsi, e una sentenza contro l’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, fosse qualcosa di superfluo, non fondamentale, insomma rinviabile. E la legge che finalmente sancisce la possibilità per i figli ad avere entrambi i cognomi, approvata alla Camera nel 2014, langue da due anni nei cassetti del Senato.
Sino ad oggi l’unico modo per ottenere il doppio cognome è stato quello di fare richiesta al Prefetto. La concessione è sempre stata di natura discrezionale. Oppure, nel caso di coppie non sposate, molte hanno scelto di far riconoscere il figlio prima alla madre e, solo in un secondo tempo, al padre in modo da fare avere al bambino entrambi i cognomi.
In altre parole, la Corte Costituzionale ha finalmente aperto un varco, superando l’inerzia del legislatore (anche) su questo tema.
La storica sentenza prende le mosse dal ricorso di una coppia italo-brasiliana residente a Genova che aveva chiesto di poter registrare il proprio bambino con il doppio cognome. Una scelta motivata dal senso di parità, ma anche dall’esigenza di armonizzare la condizione anagrafica del piccolo, che ha la doppia cittadinanza, tra il Brasile dove è identificato con il nome materno e paterno, e l’Italia dove ha soltanto il cognome del padre.
In prima battuta, la richiesta della coppia è stata respinta per quella “norma implicita” secondo la quale ai figli nati nel matrimonio va attribuito soltanto il cognome paterno.
Ora sarà necessario attendere il deposito della sentenza, relatore il giudice Giuliano Amato, per capire quali siano le motivazioni della Corte alla base della decisione presa lo scorso 8 novembre. Già nel 2006 la Consulta aveva trattato un caso simile, in cui si chiedeva di sostituire il cognome materno a quello paterno: in quell’occasione i ‘giudici delle leggi’, pur definendo l’attribuzione automatica del cognome del papà un “retaggio di una concezione patriarcale della famiglia”, dichiarò inammissibile la questione sottolineando che spettava al legislatore trovare la strada risolutiva.
L’Italia è rimasta tra gli ultimi paesi in Europa a difendere questo baluardo di maschilismo. Ma le resistenze sono ancora forti. Basti pensare che si sono succedute dieci proposte di legge mai approvate e non sono mancati interventi di deputati che invocavano in aula il “diritto del sangue”, o l’identificazione della famiglia con il padre.
In conclusione, vale la pena di sottolineare l’enorme portata simbolica ed educativa della decisione della Consulta, nel segno della effettiva parità di genere, ideale irrinunciabile in una società democratica, che però sembra avere ancora bisogno di essere affermato.
Simona Raffaele