Il Lunedì mattina il corridoio antistante la stanza della Presidente della prima sezione del Tribunale si affolla già prima del consueto orario. L’udienza dovrebbe iniziare alle ore 9,00, ma già dalle 8,30 si aggirano per il Tribunale sguardi spaesati e spauriti di uomini e donne in attesa del loro “turno”.
Enza ha già affisso fuori dalla stanza il ruolo, e vedere il proprio turno tra i primi cinque è già una vittoria. Significa che non si farà tardissimo, ma tutto dipende da quanto durerà lo stillicidio dentro l’aula. La Presidente il lunedì mattina, non si fa attendere molto, è puntuale, a volte più degli avvocati e dei loro clienti, si occupa delle udienze di comparizione dei coniugi per le separazioni giudiziali. La tensione è al massimo. I coniugi, che diverranno presto ex coniugi, passano attraverso fasi estreme in pochissimi minuti, ci sono quelli mesti e con lo sguardo fisso a terra, perché probabilmente sentono tutto il peso del fallimento del loro progetto di vita che si concretizzerà da lì a poco con un provvedimento presidenziale; o amano ancora il marito o la moglie, ma questo/a non ne vuole più sapere; o si sentono in colpa per averlo/a tradita; o sentono già la mancanza del figlio, perché saranno presto autorizzati a vivere separati e uno dei due lascerà la casa coniugale alla ricerca di un altro posto dove trascorre il tempo intercorrente tra una visita e l’altra del figlio; o sono arrabbiati con l’altro/a all’inverosimile, perché la colpa della fine dell’unione è solo sua, non riuscendo a comprendere ancora che la colpa non è mai da una sola parte.
Qualcuno piange, qualcuno urla, qualcuno ride scompostamente, qualcun altro ha già l’amante nascosto dietro la colonna ad aspettare che la nuova vita cominci sulle ceneri di quella passata.
Noi avvocati siamo lì spettatori, e in parte responsabili, di quelle parole cattive, a volte esagerate, mentre accompagniamo i nostri clienti lungo il calvario della fine della loro vita precedente. Siamo stanchi è vero, abbiamo per mesi tentato che non si scannassero davanti al Presidente, e siamo frustati, perché se siamo davanti al Presidente per la comparizione per separazione giudiziale, vuol dire che non ci siamo riusciti.
E si apre un’altra fase, dura, senza esclusione di colpi per qualcuno, ed il cliente che fino a qualche tempo prima ha visto nell’avvocato il suo migliore amico e confidente, adesso si è rivoltato contro e ha chiesto solo di aiutarlo a rovinare quello/a a cui aveva giurato amore “fin che morte non ci separi”, non comprendendo che con quello/a ci avrà a che fare per sempre lo stesso, perché l’altro genitore della sua unica ragione di vita.
A volte capita, però, che da una prima fase estremamente conflittuale, si possa arrivare ad un accordo, sofferto, a tratti ingiusto perché frutto di enormi compromessi per l’uno e per l’altra. Accade quando i coniugi smettono di fare i coniugi traditi (almeno in parte) e restano solo genitori. Allora, non considerando quei genitori che si pavoneggiando, mentendo, di volere fare solo l’interesse dei figli, avviene una magia.
Le urla diventano pianti e i puntigli diventano concessioni, la separazione giudiziale con tanto di domanda di addebito reciproca, diventa un accordo di conversione in separazione consensuale, firmata sotto gli occhi benevoli del Presidente e quelli soddisfatti degli avvocati, che ci hanno messo davvero tutto l’impegno possibile per tradurre i bisogni, le aspettative e i diritti dei coniugi, ma soprattutto dei figli, in un accordo che li rispetti tutti.
Accade forse più del previsto che si scenda a miti consigli, che si riconosca il ruolo dell’altro nella vita dei propri figli, senza escludere nulla.
Il Presidente lunedì scorso, dopo mesi di rinvii per trovare un accordo, dove anche Lei ha avuto un ruolo importante, sollecitando, rimproverando anche, mettendo i puntini sulle “i”, ha letto un accordo di conversione in cui le parti, smettendo di essere coniugi e facendo solo i genitori, hanno optato per un affidamento condiviso con tempi paritari dei figli minori, con tanto di schemino riepilogativo dei tempi di permanenza con il papà e con la mamma, doppia domiciliazione e mantenimento diretto dei figli.
È evidentemente una vittoria di civiltà. Non per gli avvocati, che si sentiranno sempre le continue lamentele dei genitori “mi ha portato il bambino in ritardo, non ha pagato il regalo per il compagno di classe, non ha voluto che lo iscrivessi a danza etc etc etc”, ma è una vittoria della esatta interpretazione della legge sull’affido condiviso, dopo più di dieci anni dalla sua entrata in vigore. È una vittoria dei papà, che non sono più solo bancomat, ma che si possono finalmente responsabilizzare veramente, dividendo il peso della educazione e crescita dei figli con le mamme, che vincono anch’esse, perché spesso troppo stanche, non riescono ad avere una loro vita oltre il ruolo di genitore. È una vittoria di modernità, di eguaglianza sostanziale e non solo formale.
E’ una vittoria per quel papà e per quella mamma che hanno pianto mentre il Presidente leggeva gli accordi di separazione sulla gestione dei figli.
Ma è soprattutto una vittoria per i bambini, che come recita la legge hanno diritto ad avere un rapporto continuativo ed equilibrato con entrambi i genitori anche dopo la separazione.
Non è colpa loro se mamma e papà non stanno più insieme, non è colpa loro se tutte le sere non andranno a letto con il bacio della buona notte di mamma e di papà, ma almeno sapranno che nessuno dei due sparirà dalla propria vita o avrà un ruolo residuale.
Mi auguro che questi genitori siano all’altezza dell’impegno che si sono assunti, che metteranno davvero da parte i loro risentimenti riconoscendo nell’altro, un punto di riferimento dei figli, che non può e non deve essere mortificato o sminuito.
La strada è lunga ma un primo passo è stato fatto…..
In bocca al lupo mamma e papà!!
Frida Simona Giuffrida